Sanremo 2019 ariston sanremo scaletta
È il festival della musica italiana, Sanremo 2019 risplende sotto le luci dell’Ariston e ritorna in grande stile presentando i brani fino ad allora inediti. Sappiamo già che la “retorica” della musica italiana è sempre stata principio limite: le solite tematiche a volte stonano, la parole “amore” viene troppo spesso abusata e la tecnica musicale lasciata ad una ridondanza invadente. Ma, un po come l’anno precedente, le sorprese si trovano, lasciando speranza per una nuova musica di qualità tutta italiana. Ieri va in onda la prima serata del Festival (la prima delle cinque serate totali) , nella quale si sono esibiti tutti i 24 artisti in gara. Alla fine della prima serata è stata comunicata la classifica provvisoria basata sul voto della giuria demoscopica. mentre televoto e voto della sala stampa non sono stati ancora rivelati. ariston sanremo scaletta
Federica Carta e Shade, “Senza farlo apposta”
Pezzo sicuramente orecchiabile (i jingle da carillon e le orchestre ipnotizzano facilmente) e la coppia sembra riuscita, ma manca il particolare, insomma il tipico brano da Festival italiano. Ridondanza del motivo musicale e testo scialbo, banalmente riconoscibile come canzone GIOVANE, ma niente, “senza farlo apposta” sprofondano nel superficiale. Forse avevano la “luna storta” ?
Patty Pravo e Briga, “Un po’ come la vita”
E ci ricaschiamo di nuovo, ma tipico, il vecchio non stroppia mai, il ripetersi completa le parole che a volte mancano. Un duetto improbabile sin dal primo momento; una Patty Pravo che ancora ci crede , ma ha la sua età. Rimarrà una diva della musica , ma come un pò nella vita , le cose cambiano. Briga per un attimo le ruba la scena (verso il finale si intende, perché per tutto il tempo l’attenzione è sul look rosso sgargiante della Pravo) e le sue abilità canore sembrano coprire quelle della cantante. Lei non si sente, non si riesce a capire cosa canta: le parole, l’armonia del testo , L’esibizione sembra portata a fatica sul palco. Ma il brano ? “il solito, grazie”. Si , perché il brano è un turbinio di parole che rimane li , stantio e represso dalla solita retorica italiana.
Negrita, “I ragazzi stanno bene”
Ci si ricorda di loro per molte cose, soprattutto perché grazie alla colonna sonora di “cosi è la vita” di Aldo Giovanni e Giacomo ci hanno fatto innamorare (Hollywood è tra i pezzi più conosciuti). I Negrita sono un attimo di sospiro lieto per il festival. Stare bene con loro è semplice, e il brano accompagna questo senso di relax. SI, è proprio come “un fuoco nelle vene”, danno la carica giusta. Il gruppo è in forma: le chitarra solista accompagna la buona resa tecnica del tutto (il testo non è proprio un inno all’originalità, ma si fa cantare abbastanza bene), Paolo Bruni spettacolarizza il tutto, insomma una boccata d’aria fresca alla buona musica.
Daniele Silvestri, “Argento vivo”
E qui arrivano dai parolieri di “classe”, quando il festival diventa la “sorpresa” e pensi “che bello guardare la tv ogni tanto”. È musica , semplicemente bella musica. Il pezzo più coraggioso, tra i più completi, forse, il più emozionante. Sorpresa che non si smentisce con il feat di uno dei rapper più importanti della scena italiana , Rancore. Testo, armonia, perfezione e particolarità musicale, è questo che deve fare il festival. Rancore esplode, Silvestri lo guarda come un maestro jedi e l’allievo padawan, e nulla , sono una coppia che scoppia, ma che scoppia troppo. La batteria e le sonorità elettronica rendono magnificente la teatralità del brano, aggiungendo quel “quid” in più che trasforma tutto in un’ esibizione memorabile. Complesso.
Ex-Otago, “Solo una canzone”
Rimaniamo sul pezzo con gli Ex-Otago che propongono un brano piacevole ed esibito bene. Il brano non è per niente spiacevole: testo e musica si ritraggono bene nella loro sfera di genere. Pur sempre rimane una canzone con le solite tematiche sull’amore, la solita armonia orchestrata (ma gli altri membri dove sono? L’orchestra è protagonista), ma nel complesso niente deludente. Buon lavoro.
Achille Lauro, “Rolls Royce”
Non ci siamo. Quali altre parole sarebbero più adatte ? Tutto l’infuso di scarsa qualità della trap italiana mischiata ad un rock stentato e “sdentato”. È la virtù della trap, un genere fin troppo furbo. Avete notato come la chitarra sembra essere messa li tanto per rendere orecchiabile la voce stonata di Achille Lauro? Non c’è altro da aggiungere, il brano parla da sé. Un secco NO al divo della trap. Ah, e il testo ? Shakespeare avrebbe applaudito.
Arisa, “Mi sento bene”
Tra un un’ottava all’altra Arisa si presenta carica e piena di vita. L’esibizione non è male, il brano squillante e divertente, è il suo pezzo. Testo semplice, forse anche troppo, ma la voce è protagonista. Una singola nota “stona”, il brano , nel suo complesso , sembra un po troppo disneyiano. Avrà scambiato il festival per Frozen ? Biancaneve ? Ad un certo punto crolla la credibilità del testo. Tutto sommato una buona esibizione. Intrattiene.
Francesco Renga, “Aspetto che torni”
Il romantico Renga ritorna con un pezzo per niente banale. Bella la voce, belle le parole, la musica non è niente di particolare (piano ed orchestra). Renga ha un cuore grande, un dolce brano completo dalla sua notevole abilità canora (quel tremolo vocale è formidabile). Romantico.
Boomdabash, “Per un milione”
Un reggae pop orecchiabile, parole al loro posto, musicalmente vuole diventare un tormentone. Sulla scia di Occidentalis Karma , il pezzo è scritto bene ma spudorato nel suo essere “commerciale”. Una cosa non quadra, la seconda parte del brano cantata da Payà non convince per niente: stonato e le parole cadono nel banale assoluto. Il brano sembra essere scritto in maniera confusa. Mediocre.
Enrico Nigiotti, “Nonno Hollywood”
Nigiotti e Renga vincono sull’amore, sui ricordi. Il cantante livornese parla di generazioni passate, di un certo “Nonno Hollywood”. Il ricordo di un uomo semplice nei gesti, ma altrettanto complesso nel guardare in un certo modo la vita e la sua Livorno. È un inno a quello che probabilmente si è perduto, a quello che, forse, ormai, vediamo sempre più appannato. Il semplice a volte è meglio del complicato. Romanticone.
Nino D’Angelo e Livio Cori, “Un’altra luce”
Un brano per metà italiano e per metà in napoletano. Coraggioso, ma il dialogo di entrambi sembra essere sordo. Convincono per la prima metà del brano, dopo di che si percepisce un contrasto generazionale troppo forte. Il cantato napoletano ha comunque il suo fascino.
Paola Turci, “L’ultimo ostacolo”
“E cambieremo mille volte forma e lineamenti per non sentire l’abitudine”. Ma lei non cambia il suo stile inconfondibile. Archi e voci per una canzone che melodicamente ricca di suoni. Storpia un po il tutto per la ridondanza della solita retorica all’italiana.
Simone Cristicchi, “Abbi cura di me”
Tanti applausi per Simone Cristicchi. Un brano dolce e amaro, romantico e passionale. Vita ed equilibri sono miscelati in un temporale di emozioni; il brano parla e si percepisce il suo calore. La formula Gazzè (Cristalda e Pizzomunno) sembra essere stata “ritrattata” da Cristicchi che costruisce un brano delicatissimo.
Zen Circus, “L’amore è una dittatura”
Particolarità e bella musica. Testo avvincente, forse un po complesso, ma di genere e in pieno stile Zen Circus. Esibizione musicale perfetta, tecnicamente insuperabili. Qualità .
Anna Tatangelo, “Le nostre anime di notte”
“Complicità” , “occhi”, “sbagli”, la solita canzone banale e scontata. La Tatangelo però è del mestiere, sa fare quello e non ha una brutta voce per farlo. Ma il brano non è curioso, ostenta fin troppo le sue parole che, alla fine, sembrano essere messe li perché suonano bene. Esibizione dimenticabile.
Irama, “La ragazza con il cuore di latta”
Il coro ed Irama lavorano bene insieme. Un’esibizione niente male, il testo è duro, a tratti angosciante. La musica è costruita, con orchestra e cori che lo seguono. L’interpretazione coraggiosa. Ma la tematica è sempre la stessa: Amore, amore e amore.
Ultimo, “I tuoi particolari”
Il tempo è costante, misura i particolari, definisce i ricordi e li muta. Ultimo scrive un bel testo, non c’è il “particolare”, ma una buona esibizione musicale.
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Nek, “Mi farò trovare pronto”
Ogni tanto ritorna, ma questa volta dice di essere “pronto”. Promette un esibizione che non fa decostruire la sua immagine: è Nek sul palco che canta. Pero, beh… Il brano non è che sia tanto “pronto”.
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Motta, “Dov’è l’Italia”
Un pezzo nostalgico, carico di energia e che ha da raccontare qualcosa. Motta antropomorfizza l’Italia, la rende una lei e ne canta i suoi sentimenti. L’esibizione fa il suo dovere, il tutto riesce ad essere orecchiabile, ma non troppo incisivo.
Il Volo, “Musica che resta”
È forse un déjà-vu, il volo si esibiscono nella loro inconfondibile lirica, ma sembra essere qualcosa di già sentito.
Ghemon, “Rose viola”
Potrebbe essere un urban soul con la voce di un rapper che si affaccia al cantautorato solo se fosse un po’ più convincente. E così accarezzare le “mille spine” di questa rosa viola.
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Loredana Bertè, “Cosa ti aspetti da me”
Una rivelazione, una grande forza inaspettata si staglia sul palco dell’Ariston lasciando molti a bocca aperta. Bertè è ancora li e con il suo carattere distintivo prepotentemente spacca il palco. Sicuramente l’età si fa sentire (in prima battuta sembrava non ingranare) , ma l’amore per la musica è piu forte. Loredana esiste ancora.
Einar, “Parole Nuove”
Non convince la musica, il testo e l’esibizione. È forse lui che manca di concretezza musicale ? Un brano dimenticabile.
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Mahmood, “Soldi”
Voce interessante, testo che fa il suo dovere. L’esibizione non è memorabile, il ritornello sembra essere abbastanza “stantio”. Tutto sommato può starci.
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