Tra ascese e cadute… arriva “Chromatica” Chromatica Lady Gaga recensione
Se pensavate di ritrovare sulla porta la popstar statunitense con indosso i panni di “Joanne”, l’album della svolta simil-country, o quelli di Ally Campana, la talentuosa cantante protagonista di “A star is born”, beh, vi sbagliavate. La Lady Gaga di “Chromatica” non suona la chitarra, non canta ballate strappalacrime, non indossa cappelli a falda larga.Chromatica Lady Gaga recensione
In questo nuovo album interpreta un altro personaggio – l’ennesimo – e cambia ancora una volta stile, disorientando: ora è una guerriera a capo di una delle tribù che popolano il mondo in cui sono idealmente ambientate le canzoni del disco, animato dalle faide tra i vari clan (come nel video del singolo “Stupid love”). Un concept neanche così difficile da raccontare, ma ricco di sottotesti tutti da decifrare che – a detta della cantante – riguardano tematiche come l’inclusività, l’uguaglianza, il senso di comunità. Come sempre quando si parla di Gaga, tanta (troppa?) carne al fuoco. Meglio ragionare di musica, allora.
Sperimentazioni Germanotta & co.
In “Chromatica” Stephanie Germanotta prova a recuperare i guizzi pop dei primi dischi, “The fame” e “Born this way”, unendoli con le pseudo-sperimentazioni di “Artpop”, tanto amato da alcuni fan ma anche parecchio contestato (e dopo anni ripudiato dalla stessa popstar), cercando un equilibrio tra la sua vena melodica e quella più avanguardista.
Da un lato c’è la Lady Gaga che duetta con Ariana Grande (“Rain on me”) e le sudcoreane Blackpink (“Sour candy” suona come una strizzatina d’occhio al mondo del k-pop, il pop coreano, diventato un fenomeno globale), e si assicura un potenziale da milioni di streams; dall’altro c’è quella che coinvolge nella produzione del disco producer e dj poco blasonati nel pop mainstream come i francesi Tchami (c’era il suo zampino già in alcuni pezzi di “Artpop”), Madeon (25 anni) e Morgan Kibby (è la frontwoman della band indie losangelina dei Romanovs e ha collaborato con gli M83), affiancandogli i più noti Axwell e Skrillex.
“Prevaricazioni”
Difficile dire se l’esperimento sia effettivamente riuscito. Il fatto è che per quanto la cantante e BloodPop, promosso qui a produttore esecutivo dopo la collaborazione per “Joanne”, si siano sforzati di farle andare quanto più possibile d’accordo tra loro, le due anime musicali di Lady Gaga faticano a vivere in armonia e vanno spesso in conflitto.
Non appena l’una prova a prevalere sull’altra proponendo melodie allettanti o idee affascinanti, l’altra entra a gamba tesa con produzioni dallo stile forte, fatte di suoni per lo più elettronici talvolta troppo ingombranti, tra sintetizzatori, tastieroni e drum machine. Le ballate, che nei dischi degli esordi, tra un inno dance pop e l’altro, non erano comunque mancate (“Speechless”, “Yoü and I”, “Hair”), qui non ci sono: da “Alice” a “Babylon”, passando per “Free woman”, “Plastic doll” e “Enigma”, il mondo sonoro di riferimento stavolta è quello dell’eurodance, dell’EDM e della musica house.
Successo o flop?
È un conflitto, quello tra queste due anime, che permea tutto il disco: non risparmia neppure il duetto con Elton John su “Sine from above” (mr. “Crocodile rock” qui canta su un beat dance pop che non si addice benissimo alle caratteristiche della sua voce), e che si traduce in una schizofrenia musicale: “My biggest enemy is me”, canta in “911”.
Ci sono buone idee, come il beat house di “Soud candy”, che però finisce presto sullo sfondo, travolto dai tastieroni, o come l’omaggio (implicito?) ai Daft Punk e ai Depeche Mode di “Just can’t get enough” della stessa “911”, esperimento synth-pop che però rimane appena abbozzato. Idee interessanti, ma che mancano totalmente di sviluppi ed evoluzioni. Poche le eccezioni, che risollevano un po’ le sorti di un disco confuso e sconclusionato: “Stupid love” è un buon singolo, che fa la sua parte all’interno del disco; “Fun tonight” in certi passaggi potrebbe ricordare la Lady Gaga più intimista, e con autocitazioni.