Negli anni ’90 si sviluppa, in seno al movimento rock inglese, una nuova corrente: il Britpop. Con una manciata di band di punta, porterà una ventata di aria fresca nel mondo della musica, integrando strutture pop e attitudine rock.
Farà storcere il naso ad alcuni puristi del rock, ma lascerà un segno indelebile, influenzando generazioni di musicisti a venire. Storia Britpop
Le origini del Britpop
Mentre in america la scena rock era dominata dai nascenti astri del Grunge (Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chain) e del Punk Pop (Green Day, Rancid) in inghilterra nasceva ed ascendeva ai vertici delle classifiche il Britpop.
Fu per certi versi quasi una reazione musicale e spirituale alle ritmiche ed al mood oscuro e depresso del grunge, che aveva dominato per anni la scena rock, fino al suicidio del suo protagonista, Kurt Cobain dei Nirvana.
Questo genere trae le sue origini musicali dal Rock classico degli anni ’60 e ’70. The Beatles, The Rolling Stones, The Who, The Kinks e David Bowie sono le coordinate principali di quello che il Britpop sarebbe stato sin dalle sue origini.
I testi e l’atteggiamento sono giovanili, irriverenti, vitali, contro le istituzioni e l’autorità. A tratti psichedelici, figli della beat generation. È una ribellione goliardica e vivace.
Se c’è una band che può essere considerata antesignana dei moduli che lo caratterizzarono, sono senza dubbio gli Stone Roses, da Manchester.
Con il loro disco d’esordio – datato 1989 – uno dei più amati dal pubblico inglese, conquistarono ben presto il cuore di milioni di giovani britannici.
Più che musicale, il merito degli Stone Roses fu di natura sociale: dimostrarono a tutti che anche in quegli anni, partendo dal nulla – dalla squallida periferia della Manchester operaia – si poteva raggiungere il successo.
“It ain’t where you’re from, it’s where you’re at”
Non è da dove vieni che conta, ma dove sei.
(Iconica frase attribuita al cantante degli Stone Roses, Ian Brown)
Le lezioni mutuate dagli Stone Roses – oltre che quelle dei già citati titani degli anni ’60 – sono quelle della New Wave e della Dance, generi che avevano segnato e dominato il decennio ’80.
Diretti figli di questi due generi, e precursori di molte delle caratteristiche del britpop, furono il Madchester (genere localizzato quasi esclusivamente nell’aria metropolitana della stessa Manchester degli Stone Roses, e ancor più specificatamente quasi tutto attorno all’etichetta Factory Records. Questa scena mancuniana è immortalata nel film 24 Hours Party People) e lo Shoegaze.
Rappresentanti illustri dello shoegaze, con sonorità sperimentali inserite in strutture melodiche tradizionali, sono grossi nomi come My Bloody Valentine e Jesus and Mary Chain.
Gruppi come gli stessi Stone Roses, gli Happy Mondays e gli Inspiral Carpets (di cui Noel Gallagher degli Oasis fu, in gioventù, roadie) sono considerati alfieri del Madchester sound.
Tutti nomi che, artisticamente e come mood, influenzarono l’oggetto di questa trattazione. Storia Britpop
Dopo gli Stone Roses: la nascita del britpop
Il successo degli Stone Roses, la loro carriera discografica breve ma intensa (all’attivo hanno – tutt’ora – solo due LP ed una manciata di singoli e b-sides) e la loro storia ispirarono – come detto – un’intera generazione di giovani aspiranti musicisti.
È da questa suggestione che nacquero buona parte dei gruppi che saranno i grandi nomi del Britpop.
I primi furono i Suede di Brett Anderson che incarnarono perfettamente – già dal primo disco del 1993 – gli stilemi del genere. In loro sono più forti le influenza glam di Bowie, e quelle new wave di Joy Division e Cure.
Seguirono altre band – in cui invece era l’influenza anni ’60 più marcata.
I Pulp di Jarvis Cocker, nati molto prima, nel 1978, ma che raggiunsero il successo solo nel 1995 con il quinto album Different Class e la hit Common People, considerati capolavori del britpop. I Verve di Richard Ashcroft, che realizzarono nel 1997 il capolavoro Urban Hymns, contenente la famosissima Bittersweet Symphony.
Ed ancora Travis, Supergrass, Ocean Colour Scene, Kula Shaker, Manic Street Preachers. Sono solo alcuni dei nomi più grossi, e meriterebbero ben più ampia trattazione. Tutti gruppi che – chi più, chi meno – dominarono la scena inglese per tutti gli anni ’90.
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Scontro tra titani: Oasis vs. Blur
Ma le due band che più delle altre giunsero al successo, e rappresentarono il Britpop in tutto il mondo, furono senza ombra di dubbio i mancuniani Oasis ed i londinesi Blur.
Le due band muovono da spinte sociali e suggestioni musicali per certi aspetti totalmente opposte.
Gli Oasis sono figli dei quartieri operai di Manchester. Scapestrati, ribelli… anche ignoranti, per certi aspetti. Credono in poche cose, ma ci credono tanto: le droghe, il sesso, l’alcohol, le sigarette ed il rock n’ roll. Ed è proprio da un interesse per quelle grandi band degli anni ’60, ed un occhio di riguardo a gruppi più recenti del panorama inglese come – soprattutto – Stone Roses, Smiths e Jam (considerati gli eredi eccellenti del movimento Mod inglese) che la loro poetica si plasma. Raggiunsero l’apice della propria carriera con i primi due dischi: Definitely Maybe (1994) e (What’s the Story) Morning Glory? (1995).
I Blur, di contro, vengono da un ambiente più colto e borghese. Ispirati anche da sperimentazioni più ardite, verranno acclamati maggiormente dalla critica, ma avranno un successo di pubblico inferiore a quello dei rivali. I loro dischi di maggior successo sono Modern Life Is Rubbish (1993) e Parklife (1994)
La rivalità fu costruita ad hoc dalla stampa inglese, in astinenza in questo senso sin dai tempi di Beatles e Rolling Stones.
Il punto più eccitante di questa storia: quasi agli albori delle loro carriere – le due band, con una mossa commerciale spericolata, decisero di lanciare lo stesso giorno i propri singoli.
Il14 agosto del 1995 furono lanciati sul mercato Country House dei Blur e Roll with it degli Oasis. Questa sfida fu vinta dai Blur, ma gli Oasis ebbero ben presto la propria rivincita, diventando una delle band più amate del pianeta. Forse quella di più successo in quegli anni, fino ad arrivare all’emblematico e leggendario concerto di Knewborth, nel ’96. Storia Britpop
Fuori dagli schemi: i Radiohead
Anche quella considerata la più grande band degli ultimi 25 anni, i Radiohead, all’inizio della propria carriera gravitava nella zona di influenza del britpop. Ciò è chiaro soprattutto nei capolavori giovanili: The Bends del ’95 e Ok Computer del ’97. Ma gli intenti dei Radiohead – forse sin da subito, forse in seguito ad una determinata crescita artistica – erano diversi. Ben presto la nave Radiohead del capitan Thom Yorke virò verso lidi sconosciuti, verso le isole della musica elettronica, minimal e sperimentale. Allontanandosi così, in maniera definitiva, dalle spiagge del britpop.
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Gli eredi del Britpop
L’idilio fa presto a spegnersi. Gli Oasis si scioglieranno nel 2009, dopo qualche altro disco non all’altezza dei primi; i Verve dureranno ancora meno; i Blur continueranno a suonare, così come i Pulp ed i Suede, che si scioglieranno entrambi prima del 2003, salvo poi riunirsi in meno di 10 anni. Anche le altre grandi band – tra altri e bassi – continuano la propria attività, ben lontani dal successo degli anni ’90.
Eppure, l’impronta che nell’ultimo decennio del II millennio ha lasciato il britpop, continua a vedersi anche nelle band di maggiore successo all’alba del III millennio.
Band come Coldplay, Arctic Monkeys, Keane, Kasabian, Franz Ferdinand, Stereophonics, Train e Muse. Tutte debitrici in maniera più o meno esplicita a quello che fu il genere di punta del rock inglese negli anni ’90. Storia Britpop