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Eurovision e politica: è tutto un complotto? Un’analisi

“L’Eurovision è pilotato”. Oppure “l’Eurovision è tutta politica”. Quante volte, ogni anno, sentiamo pronunciare questa frase? Potrebbe esserci chi urla al complotto, o chi nega certe evidenze, ma sicuro è che tra l’Eurovision Song Contest e la politica intercorre un feeling enigmatico. Almeno sulla carta, la kermesse sarebbe estranea a tutto ciò. Sulla carta, appunto, ma nei fatti no. Il legame tra Eurovision e politica si spiega in almeno quattro modi diversi. Ossia: testi carichi di significato politico, votazioni nazionalistiche, promozione dei valori delle democrazie occidentali e, infine, il vantaggio che i Paesi traggono dalla manifestazione canora. Eurovision pilotato dalla politica

1. Testi carichi di significato politico Eurovision pilotato dalla politica

Le regole dicono che non è permesso includere temi politici nelle canzoni in gara. Infatti, nel 2009 la Georgia cercò di partecipare con una canzone intitolata “We don’t wanna put in”. Ciò avvenne nel periodo immediatamente successivo alla guerra russo-georgiana e la manifestazione quell’anno si teneva proprio in Russia. Comprensibilmente, l’Unione europea di Radiffusione (UER) non permise la partecipazione del brano. Ma di tanto in tanto qualcuno riesce ad aggirare l’ostacolo. Nel 2015, ad esempio, l’Armenia ha partecipato con una canzone originariamente intitolata “Don’t Deny” (ovvero “non negare”), poi diventata “Face The Shadow”. Il testo parlava molto chiaramente del genocidio armeno del 1915. Eurovision pilotato dalla politica

2. Votazioni nazionalistiche Eurovision pilotato dalla politica

La competizione è nota per il voto in blocco in cui le nazioni politicamente alleate si favoriscono a vicenda. C’è un esempio lampante: dal 1997 al 2014 la Grecia e Cipro si sono assegnate a vicenda il massimo di 12 punti tutte le volte che potevano. Un altro esempio: dal 2001 al 2012, man mano che il concorso si espandeva verso est, 6 edizioni su 12 sono state vinte da paesi ex comunisti, grazie a tutte quelle nazioni del blocco orientale che si sono sostenute a vicenda. Jorgen Franck, TV Director dell’UER, ha dichiarato: «Per me la competizione musicale è un campo di battaglia dove puoi permetterti di essere patriottico. Puoi anche permetterti di essere nazionalista, che è una parola che non si vuole molto attribuire in questi tempi. Se non avessimo quel campo di battaglia potremmo avere più battaglie. È un po’ come era il football prima che gli hooligan cominciassero a demolire le città. Il calcio non può più svolgere questo compito, ma le gare canore sì». In altre parole, Franck non pensava che le votazioni nazionalistiche rovinassero la purezza dell’evento. Al contrario, sentiva che la musica era solo un veicolo per consentire alle persone di comportarsi in modo nazionalistico in tutta sicurezza. Eurovision pilotato dalla politica

3. È una vetrina per i valori occidentali

La democrazia

L’Eurovision è una celebrazione ritualizzata della democrazia: ogni anno la finale si conclude con la lunga sequenza in cui vengono svelati i risultati delle votazioni. Ogni paese ha la stessa voce in capitolo e i risultati sono pubblici e vengono immediatamente conteggiati. Questo potrebbe sembrare normalissimo a noi italiani, ma non a chi vive in quei paesi dove le elezioni libere ed eque non sono la norma. Nel 2012 la kermesse si è tenuta nell’autocratico Azerbaigian e il rappresentante della Germania ha detto: «questa sera nessuno potrà votare per il proprio Paese, ma è bello poter votare ed è bello poter scegliere»

La pluralità culturale

Quando annunciano a chi vanno i 12 punti da parte del proprio Paese, le celebrità locali di solito si mettono di fronte a un punto di riferimento iconico. Ad esempio, vediamo l’annunciatore della Francia di fronte alla Torre Eiffel. A volte dicono persino qualcosa nella loro lingua madre prima di dare l’annuncio. Questo ci porta a un secondo valore fondamentale dell’Eurovision: celebrare il pluralismo. Tutti si vestono e parlano in modo diverso, ma tutti sorridono e partecipano sotto lo stesso regolamento. Ovviamente anche le Olimpiadi cercano di realizzare ciò, ma alle Olimpiadi la diversità culturale è in mostra solo nelle cerimonie di apertura e chiusura. Invece all’Eurovision la cultura è al centro dell’attenzione durante la gara.

Cultura LGBTQ+ Eurovision pilotato dalla politica

L’Eurovision è da decenni un punto focale per la cultura LGBTQ+. Nel lontano 1998 la gara fu vinta da Dana International, prima partecipante transgender. Da allora abbiamo vissuto molti momenti arcobaleno, non sempre apprezzati dai regimi più repressivi del mondo. Ad esempio, nel 2013 la Turchia ha rifiutato di trasmettere in TV la gara, in risposta all’esibizione della Finlandia, che prevedeva un bacio tra due donne. Ancora, nel 2018 la Cina ha perso i diritti di trasmissione dell’Eurovision perché ha censurato la coreografia che accompagnava la canzone irlandese (in cui due uomini ballavano insieme). Il messaggio è arrivato forte e chiaro: se vuoi beneficiare degli ascolti televisivi dell’Eurovision (e, soprattutto, se vuoi partecipare), devi accettare che il tuo popolo sarà esposto alla cultura LGBTQ+.

4. È un’opportunità per le nazioni di vendersi al mondo

Prendiamo l’esempio dell’Azerbaigian, che nel 2011 ha partecipato con il duo composto da Eldar Qasımov e Nigar Camal. I loro nomi vennero cambiati in Ell e Nikki, presumibilmente perché il nome di Nigar non venisse scambiato per un insulto razzista. L’Azerbaigian voleva chiaramente presentarsi come una nazione occidentalizzata. E ne ha beneficiato: una ricerca del 2016 ha rilevato che l’immagine dell’Azerbaigian è migliorata significativamente grazie all’Eurovision, soprattutto tra i giovani. Ma, sorprendentemente, l’immagine del paese è migliorata significativamente anche tra le persone che non avevano seguito la kermesse.

Un caso studio: la vittoria dell’Ucraina

Ogni volta che si discute del rapporto tra Eurovision e politica in sede accademica (cosa che accade molto più spesso di quanto si possa pensare), il caso studio per antonomasia è quello dell’Ucraina. In effetti, nella vittoria dell’Ucraina del 2016 si possono riscontrare tutti e quattro i punti di cui sopra. Quell’anno, lo ricordiamo, l’Ucraina gareggiava con Jamala e la sua “1944”. Il brano parla della deportazione della bisnonna della cantante in Asia centrale, durante la Seconda guerra mondiale. Ha evidenziato anche uno stile musicale decisamente ucraino e la lingua tartara di Crimea. Quindi ha un testo a stampo politico (punto numero uno) e un marchio nazionale (punto numero quattro). Jamala non era la favorita per la vittoria, il cantante russo Sergej Lazarev lo era. Ma nel 2016 lo stato russo non stava simpatico a molti, un po’ per la vicenda ucraina, un po’ per aver approvato una legge che criminalizzava la propaganda delle relazioni omosessuali. Legge che è parte di un più ampio rifiuto di quelli che il Cremlino vede come valori liberali occidentali, in opposizione allo spirito dell’Eurovision. Insomma, c’era la sensazione che chiunque tranne la Russia dovesse vincere. Quindi nel 2016 l’Eurovision è stato una vetrina per i valori delle democrazie liberali occidentali (punto numero tre) ed è stato caratterizzato da una votazione influenzata dalla politica (punto numero due). Non che “1944” non fosse un bel brano: lo era. Ma gran parte dei voti ricevuti sono stati alimentati da una combinazione di simpatia per l’Ucraina e antipatia verso la Russia.

Conclusione

Tirando le somme, la politica è parte integrante dell’Eurovision Song Contest. C’è sempre chi si lamenterà che ci sia troppa politica nella gara, ma è come lamentarsi che il mare sia troppo bagnato. Politica, storia, cultura e diplomazia fanno parte del concorso tanto quanto la musica e senza tutto ciò non ne saremmo così affascinati, anno dopo anno. Eurovision pilotato dalla politica

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