tamər è il singolo di debutto di NIMA, giovane producer, compositrice e songwriter siciliana, rilasciato il 24 novembre e distribuito da ADA Music Italy. La sua terra natia ha fatto da punto di partenza per la sua ricerca artistica, elemento che ha dato alla luce il suo stile musicale unico, frutto anche delle influenze delle altre terre bagnate dal Mediterraneo, andando oltre il concetto di terra e spazio. Scopriamo insieme, in quest’intervista, chi è NIMA e qual è stato il processo artistico e personale ad aver dato vita a tamər.
https://www.youtube.com/watch?v=rvH2ucgbaKM
Partiamo da quello che è il tuo singolo di debutto, tamər. Questo brano, e le tue produzioni musicali in generale, fanno un largo utilizzo dell’elettronica, attraverso la quale si dà vita a sonorità che infondono nell’ascoltatore sensazioni legate all’esoterismo e alla ritualità. Come nasce questa canzone e, in generale, cosa ti ha spinto a creare questo stile musicale per i tuoi progetti?
Questa canzone nasce dalla volontà di riconnettermi alla ritualità e allo spirito del mondo rurale siciliano. È una canzone che nasce dal distacco forzato dalla mia terra. Tra il 2022 e il 2023, per una concatenazione di eventi, non sono riuscita a fare ritorno in Sicilia per un anno e questo fattore ha influito nell’aprire in me una ferita che poi, una volta rientrata, ha lasciato che tutta una serie di suggestioni visive, olfattive e tattili mi attraversassero in maniera incontrollata e fortissima.
In particolare, tamər costituisce la genesi del progetto tutto. Il bisogno nuovo di raccontare una storia che si nutrisse di colori brutali, odori inebrianti e sensazioni misteriose mi ha fatto intuire che quel qualcosa che avevo sempre cercato altrove era già dentro di me, almeno in parte, e che era giunto il momento di lasciare che tutta l’energia con cui la mia terra mi aveva nutrita trovasse ora un modo di venire fuori per essere restituita. Da qui la scelta di codificare un genere che desse voce al Mediterraneo, inteso come tessuto che incessantemente accoglie al contempo passato, presente e futuro.
tamər è la protagonista dell’omonimo singolo (e del suo videoclip). Una donna che decide di affrontare il “Dio della Luna”, il quale le ha teso un inganno. Un brano che, in modo metaforico, affronta il tema della violenza di genere nelle sue varie forme. Perché ha deciso di parlare di questo tema in un modo così peculiare? E quanto c’è di te nella protagonista del tuo brano?
Ho deciso, in questo come in alcuni dei prossimi brani in uscita, di dare voce alle anime calpestate. Tra queste, molte sono donne e tamər è la prima all’interno del progetto a sferzare il suo grido contro chi l’ha sopraffatta. Da un lato, la sua è una storia di violenza di genere e tamər si scopre vittima di una persona che si finge chi non è. Colui che la inganna è un demone che si vende per dio della luna e, pur di attirarla nella sua trappola, si avvolge in un manto di mistero irresistibile per poi sopraffarla in quello che si rivela essere un mero rapporto di prigionia e possessione.
Il corpo di tamər diventa un trofeo da riportare con sé nell’oscurità da cui il demone proviene. Dall’altro lato, è una storia di ribellione e rabbia. Nel momento in cui tamər acquisisce consapevolezza riguardo a ciò che ha subito, si ribella scatenando un rituale che la rende indomabile e letale nei confronti di chi l’ha ingannata. È una storia di violenza, ma anche una storia di sollevazione e chiamata a raccolta affinché tamər sia l’ultima. Ho cercato di dare a tamər la rabbia che mi pervade in questa presa di consapevolezza che passa attraverso la lotta interiore per approdare a quella che tuttə sappiamo dover essere una lotta collettiva.
Come detto nella precedente domanda, il singolo tamər è accompagnato anche da un videoclip, realizzato dall’artista e designer SINTETICO, alias di Marco Calzolari. Il suddetto videoclip è realizzato in Computer Grafica tramite l’utilizzo dell’Unreal Engine 5 e di Blender e si basa proprio nel rendere “visivo” ciò che la tua canzone narra a livello “uditivo”, creando una vera e propria narrazione audiovisiva. Perché hai scelto di dare forma visiva a questo tuo singolo tramite l’utilizzo della Computer Grafica? E com’è stato collaborare con Marco Calzolari?
Ho passato la mia infanzia giocando alla PS1 bazzicando tra vari videogiochi e quando ho iniziato a fare delle ricerche visive per individuare l’impronta grafica da dare al mio progetto, mi sono resa conto che tutto ciò che catturava la mia attenzione finiva sempre per provenire dal mondo della digital art, dei videogames e dell’AI. Quando poi è giunto il tempo di realizzare il videoclip di tamər, la Computer Grafica mi sembrava l’unica che veramente potesse raggiungere quel contatto intimo e simbiotico con la mia musica e da qui è derivata la scelta di collaborare con il designer e Visual Artist SINTETICO/Marco Calzolari.
Collaborare con Marco è stato molto spontaneo. Dopo avergli raccontato l’universo che si cela all’interno del mio progetto, tra cui il ruolo della Sicilia come crocevia per i popoli del Mediterraneo e una carrellata di svariate entità demoniache che risiedono tra la lava e i fondali marini, ci sono saltate in mente due parole che condividiamo a pieno e che ritengo siano fondamentali per il percorso di commistione musica-arte figurativa che stiamo portando avanti. Queste parole sono “decostruzione” e “rituale”.
Nel lavoro svolto da SINTETICO, l’utilizzo della Computer Grafica e la sua interpretazione della storia di tamər ci ha consentito di azzerare la distanza tra mondo di sopra e mondo di sotto, tra campo di grano e regno della luna, sovrapponendo le due realtà fino a farle coincidere per poi non riuscire più a riconoscere chi o cosa provenga da un mondo piuttosto che da un altro. Questo corrisponde a quello che faccio con la musica elettronica: aprire varchi tra passato, presente e futuro in modo da farli fluire a vicenda l’uno nell’altro fino a non distinguere più cosa viene prima, cosa viene adesso e cosa verrà dopo.
In precedenza abbiamo già sottolineato come il tuo stile musicale sia estremamente originale, e tale peculiarità della tua produzione artistica viene ulteriormente sottolineata dalla lingua che utilizzi, ovvero il Nụhmeyya, mix di fonemi arabi, greci, siciliani ed ebraici. Come nasce l’idea di creare un vero e proprio linguaggio inedito per le tue canzoni? Non temi che un’idea del genere, tanto originale quanto elitaria, possa allontanare possibili nuovi ascoltatori?
Cercavo una lingua che avesse allo stesso tempo il suono e la forza della prima lingua mai parlata al mondo e dell’ultima lingua che verrà mai parlata prima che l’umano cessi di esistere per come lo conosciamo. Una lingua tanto antica e perduta da non essere più legata al concetto di tempo. Non passata, presente o futura, ma lingua dell’umano che prescinde dal tempo storico del parlante.
Il Nụhmeyya nasce dalla mia convinzione che i suoni possano generare una lingua del rituale e dell’irrazionale che sia il primo che l’ultimo abitante di questa terra riescono a parlare. Il Nụhmeyya permette all’uomo che ha abitato la prima notte sulla terra di gridare quando scorge la prima stella e così lo permette all’ultimo uomo rimasto in vita l’ultima notte davanti a quella che sarà l’ultima stella. Per me non intercorre tempo tra quei due momenti, essi coincidono, prima e dopo sono la stessa cosa. Per questo motivo il Nụhmeyya riesce a essere lingua immanente.
Non temo che utilizzare un linguaggio del genere possa allontanare possibili nuovi ascoltatori. L’idea che a prescindere dai confini storici e geografici possiamo tutti essere uniti da quello che per me è il linguaggio della fascinazione, dell’incanto, dell’irrazionale e del rituale è qualcosa cui abbiamo rinunciato per troppo tempo.
Questa lingua inedita, vista anche la presenza dei già menzionati fonemi siciliani, nasce proprio grazie alle tue origini siciliane. Molti che sono nati in Sicilia ripudiano le proprie radici, mentre tu sembra che ne faccia un motivo di vanto. Che rapporto hai con la tua terra natia? E quant’è stata importante nella tua formazione artistica?
Alla mia terra devo sicuramente la persona che sono. Sia per tutto quello che mi ha dato, suggestioni, odori, parole, suoni di cui per anni la mia anima si è cibata e di cui ha fame ancora, sia per tutto quello che non mi ha mai voluto dare costringendomi a cercare altrove, facendomi risvegliare da un torpore idilliaco e salato e mettendomi davanti determinati quesiti come “chi sono?”, “da dove vengo?” e ancora “dov’è che vado?” e soprattutto “a cosa sto facendo ritorno?”.
Il rapporto con la mia terra ruota tutto intorno a due concetti che per me sono al tempo stesso semplicissimi e portatori di un mistero più grande. Per me la mia terra natia è origine e allo stesso tempo punto di ritorno inteso come dimensione di arrivo. Mi piace pensare che il punto ignoto al quale approderò alla fine sarò lo stesso dal quale ho avuto origine.
Guardando il tuo profilo Instagram ho trovato un video nel quale, mentre suoni alla tastiera, è come se divenissi un tutt’uno con la musica che stai creando. Vieni letteralmente “posseduta” da quelle note, e il tuo corpo si muove come se tu stessa sia diventata musica. O almeno questa è la sensazione che mi hai trasmesso nel video in questione. È una cosa che ti succede solo quando sei in fase creativa? Oppure è la musica in generale e provocare in te questo genere di reazioni?
Quello con la musica per me è un dialogo costante, come se nella mia testa non riuscisse mai a esserci un istante di silenzio. Questo a prescindere dal fatto che io abbia o meno sotto le mani uno strumento. Essere compositrice significa un po’ anche questo, non avere mai un giorno né un istante di tregua dalla rielaborazione di sollecitazioni visive, olfattive, uditive, tattili che in qualche modo il cervello riesce a ricollegare a una sensazione musicale. Così, sia quando sono in fase di ricerca, che sia di produzione o di esecuzione, mi capita di ritrovarmi a coincidere con quello che accade nella dimensione musica in quel momento. È trascinare, ma anche lasciarsi trasportare, è possedere il discorso musicale e lasciarsi possedere da questo. È un dialogo in cui si produce tanto quanto si ascolta.
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Niente nasce dal niente e, così come il Nụhmeyya deriva da un mix di fonemi già esistenti, anche NIMA come artista e cantante ha origine da elementi che fanno parte del tuo bagaglio culturale. Come nasce quindi NIMA? Quali sono gli artisti, anche al di fuori dell’ambito musicale, che l’hanno portata a creare musica così distintiva e persino una lingua? NIMA intervista
Come dicevo prima, Nima nasce dalla volontà di restituire tutto ciò che dalla mia terra finora avevo sempre preso senza riuscire a mia volta e a modo mio a restituire, immettendolo nuovamente nello spazio. Nima è restituzione, è gratitudine, ascolto e connessione con quello che mi ha sempre circondata e che a volte non ho voluto ascoltare né vedere. Di tutta l’energia che finora avevo incamerato dalla lava e dall’acqua salata mi sembra finalmente di riuscire a restituirne quantomeno una piccola parte.
In questa visione di recupero, appropriazione e manipolazione di repertori vecchi quanto il mondo o appartenenti a un passato non troppo passato e il loro conseguente sgretolamento fino ad arrivare a una ricombinazione in cui la dimensione del rituale è la legge più intima che regge e governa la riaggregazione, gli artisti che più di tutti hanno influito nel permettermi di maturare questa visione sono stati e continuano sicuramente a essere Béla Bartók e Alberto Evaristo Ginastera.
La loro intuizione nel considerare il repertorio di musica popolare come brodo primordiale attraverso il quale ridare nuova vita alla musica e l’aver intuito che non esiste vecchio e nuovo, ma solo la volontà e l’umano bisogno di esprimersi, sono delle lezioni che hanno inciso in maniera determinante nel permettermi di individuare una direzione e un approccio nel lavoro che svolgo con il repertorio popolare siciliano, sia esso musicale, poetico o di altra natura.
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